Commento

… un marchigiano alla Cappella Marciana di Venezia…

di Paolo Pietrobon

22–23 Novembre 2003. Viaggiamo in un ambiente dominato da profili sinuosi: quasi assenti le asperità, ombrose conche arbustive a frapporsi a calotte qui di un verde vellutato, là di un ocra acceso, un po’ dovunque dai colli occhieggiano borghi arroccati o isolate masserie.L’Appennino umbro-marchigiano si intuisce alla nostra destra, lontano: ne scorgeremo la turchina fuga di crinali dei Monti Sibillini dall’alto della “rocca ginesina”, nel punto in cui un minuscolo prato, pensile sulla vallata, si apre all’improvviso sull’erta che conduce all’Auditorium di S.Agostino, sede dei nostri concerti, e poco dopo alla Piazza A.Gentili, ai miei occhi l’ arengo destinato alle assemblee dell’antica municipalità, anche se, storicamente, quel luogo di solenni decisioni fu una Chiesa, S.Francesco, splendido edificio romano-gotico dell’undicesimo secolo, insieme alla Collegiata il monumento più insigne del Borgo Ginesino.

In realtà la sensazione di un salto all’indietro nel tempo si è via via imposta fin dall’ingresso nella città: la Porta Picena, severa nei blocchi di pietra viva, e, salendo, il Loggiato dell’Ospedale dei Pellegrini, la Chiesa di S.Maria in Vepretis, il Convento degli Agostiniani, le strettoie disegnate tra antichi palazzi e, improvvisamente, la Piazza, con gli edifici moderni a fronteggiare le sedi storiche plurisecolari,Palazzo Onofri, il Teatro Comunale, la Pieve, dalla facciata concepita da un tedesco in un originalissimo gotico fiorito,affiancata alla Torre Civica e a ciò che resta dell’antico Palazzo Defensoriale (e delicatamente traforata nel cotto integrale, così apparendo scenografia che racchiude e rispecchia il borgo, la sua tormentata oscillazione tra medioevo cristiano e una rinascenza lambita dai fermenti protestanti, lo spiccatissimo orgoglio civico e le incessanti contese, anche sanguinose, con i borghi circostanti).

La San Ginesio cinquecentesca, che in questi due giorni prevalentemente si commemora intorno alla figura del musicista ginesino Giulio Bonagiunta, attivo anche a Venezia tra il 1562 ed il 1568, con la piacevole conseguenza di uno scambio artistico tra il Coro Marmolada e la Corale che porta il suo nome, fu borgo edificato in pietra viva, formato da cinque contrade, comprendente numerosi monasteri e parrocchie, ordini religiosi e Monti Sacri (istituzioni laiche di beneficenza), confraternite, ospedali per viandanti….ed ebbe magistrature efficienti, ambasciatori, banditori, bombardieri(custodi della fornitissima armeria), e marchingegni politici come il tamburo (urna adibita alla raccolta di pareri e segnalazioni sui più diversi accadimenti della vita sociale, quali lo scialo di doti e pranzi nuziali, le false misurazioni del vino, o la condotta delle prostitute, cui si proponevano già allora!- stanze apposite per l’esercizio della loro attività, ma anche machiavello utilizzato come strumento di controllo e delazione).

Ed il Cinquecento fu secolo contraddittorio e luminoso insieme per San Ginesio, borgo capace di ospitare sale per rappresentazioni sceniche, addirittura un anfiteatro ligneo(1547), musicisti e cantori (perciò dedicato al santo omo-nimo, mimo e suonatore, martire dell’epoca dioclezianea), così come municipio bellicoso e sofisticato nelle arti diplomatiche, primariamente nei confronti della Chiesa di Roma la cui benevolenza, a fatica mantenuta e ripetuta-mente riconquistata con l’organizzazione di spettacolari pellegrinaggi processionali ai Giubilei del 1575 e del 1600,valse a riportare in città, nella Collegiata, le spoglie di S.Ginesio e di S.Eleuterio e a convalidare la supremazia ginesina sui borghi circostanti e secolarmente conflittuali, tanto che, sul cannone fuso con contributo dell’intera città per la guerra contro Ripe fu scritto:“Foco, fiamma, clamor, strepito,strido / singulto, lamentar t’annunzio,o Ripe / se non ritorni al tuo paterno nido”.

Ma anche borgo travolto da pestilenze terribili, nel 1463, 1483, 1494, 1525, 1576, che inesorabilmente contribuirono, insieme alle grandi guerre europee che coinvolsero l’Italia del Seicento, a decretarne una lenta deca-denza.

Può trattarsi di un mio modo di percepire il viaggio, ma quel salto nel tempo cui accennavo prima ho risentito la mattina della grande manifestazione di associazioni laiche, religiose e militari, canto rigorosamente concertato a sostenere l’ispirazione civica e religiosa, e poi bandiere, gagliardetti, doni simbolici e la solenne, antica movenza professionale. Sorretto, tutto questo, dalla musica di Giulio Bonagiunta, cosicché le consonanze ginesino-veneziane, con qualche approssimazione, diventavano trasparenti: dopo il gotico fiorito della Collegiata, le ripetute pestilenze e i conseguenti riti di propiziazione e ringraziamento (una corona d’oro offerta in voto alla Ma-donna di Loreto prima della peste del 1525 ed una statua d’oro recatavi in processione dopo due anni e quattromila morti per la fine dell’epidemia),che agevolmente ricordano ai veneziani lo stile architettonico di autentici gioielli affacciati sul Canal Grande (la Ca’ d’Oro) o l’erezione del Tempio del Redentore e della Salute dopo le pestilenze del 1576 e del 1630, ecco la ricostruita presenza nella vicenda culturale della Serenissima e del suo Patriarcato di un cultore della musica e della poesia cinquecentesche provenienti da una lontana ma vivace provincia della Marca d’Ancona, San Ginesio.

Leggiamo alcuni suoi versi:

“ Daspuo ch’al mio dolor no ghe ceroto / bramo veder’in terr’ogni ruina / fogho, fame, giandussa et terremoto.

Voria sentir se no pianti e lamenti /suspiri, cighi, e tribulation / inganni, latronezzi, e tradimenti.

Voria veder tutte le donne belle / arse e distrutte, e per farla compia / che le brutte creppasse po’ anch’elle”.

Innegabile per noi veneziani la sorpresa per un linguaggio invero familiare:la cadenza e la sonorità delle parole, le delusioni d’amore vissute in modo paradossale ed apocalittico, l’utilizzazione di figure e situazioni ripetitive e di maniera propongono un materiale poetico destinato a sorreggere con accento semplice e popolaresco una musica di intrattenimento, la Napoletana, o, per l’adattamento di essa alla terra veneta, la Veneziana.

Il Bonagiunta scrittore e musicista contribuì a questo genere, allora apprezzato nelle Accademie musicali organizzate da nobili veneziani, ma anche in case d’affitto utilizzate per il ricevimento di amici, con quattordici composizioni: erano canzoni dialettali a tre voci (canto o soprano, tenore, anche donna, basso), di estensione media, adatte alle voci di uomini, falsettisti e ragazzi, derivate dalla Canzon ealla villanesca, in forma di aneddoto breve di quattro strofe, adattato ad un narratore frustrato che propone ricordi, rancori o fantasie erotiche con vigorosa gestualità. Nella versione veneziana, o Alla Giustiniana, esse possono essere definite anticipazioni delle Barc-role e nella scelta stilistica del musico ginesino acquistano disincanto e graziosità.

Interessa infine particolarmente scoprire che, con le Veneziane, tornano “le canzoni comiche nel dialetto veneziano, cantate sul palco da attori…(spesso) vecchi uomini impotenti e lamentosi negli spasmi dell’amore, prefigurando, della Commedia dell’arte, la maschera di Pantalone”(1).

Ma il pregio del ginesino, almeno principalmente, fu quello dell’impegno editoriale: 17 edizioni di musica vocale, prevalentemente profane e collettive, per le tipografie veneziane Scotto, Rampazzetto e Correggio, atte a garantire popolarità, oltreché una distribuzione modernamente commerciale nella ricerca di finanziatori ed artisti cui affidare gli incarichi di armonizzazione dei testi letterari, a numerosi musicisti del tempo, celebrato fra tutti Adriano Willaert, maestro di Cappella alla Marciana (nella quale il Bonagiunta fu cantore) ed inventore del coro spezzato o doppio.

Insomma un uomo “moderno”, di cui poco si saprebbe senza il lavoro punti-glioso della Corale Bonagiunta e dello stuolo di appassionati e ricercatori intorno ad essa coinvolti: lavoro culminato per noi nei Concerti all’Auditorium baroccheggiante di S.Agostino e nell’ospitalità calorosa e frizzante offertaci. Ancora una volta la soddisfazione per una buona prestazione artistica si è accompagnata, per quanto ci riguarda, con l’arricchimento derivante da una nuova esperienza culturale sorretta da robuste motivazioni, anche al di là dei festeggiamenti per i vent’anni di attività della Corale ginesina. Né è mancato, al ritorno, un riscontro gradevolissimo di tutto ciò: un dono ed un biglietto attestanti stima e gratitudine, pervenuti al Coro Marmolada da un Ufficiale dei Carabinieri di S.Ginesio il quale, presente ai concerti, aveva apprezzato la dedica da parte nostra di un canto all’Arma da lui rappresentata, colpita tanto duramente, pochi giorni prima, dall’attentato di Nassirya.

Stima e gratitudine che noi, con sentita amicizia, intendiamo ricambiare e confermare.

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( 1 ) Da “Giulio Bonagiunta da San Ginesio. Il suo tempo, la sua musica”, a cura di Baldassarri, Finucci, Cardamone, Fava, Ongaro, Tallè,

Ed. Città ideale, Recanati (MC), Maggio 2003.

Dal testo, filo conduttore della manifestazione ginesina, sono state tratte soprattutto, per farne sintesi, le informazioni “tecniche” sul musicista e sulle sue opere.