Intervento Finucci

Prof. Emiliano Finucci
Direttore di Coro, Violista e compositore
Studioso di musica rinascimentale e barocca

Trascrizione critica della musica bonagiuntiana
 
Da diversi anni, in qualità di direttore del Coro “Crypta Canonicorum” di Grottazzolina, mi occupo di musica antica e in particolare del repertorio rinascimentale e barocco. Quando il caro professore e amico Mario Baldassarri mi propose di studiare e trascrivere in notazione moderna le Canzon Napolitane composte da Giulio Bonagiunta da S. Ginesio, accettai volentieri l’incarico.

Il problema principale è stato quello di cercare di restituire l’intima natura, il primitivo carattere dei brani trascritti seppur nella consapevolezza che molte delle informazioni, contenute negli originali, sarebbero andate perdute o modificate nella traslitterazione da un sistema semiografico ad un altro. Infatti sostanziali sono le differenze che intercorrono fra la semiografia musicale cinquecentesca e quella oggi in uso: termini come, ad esempio, Ordo mensuralis, che contemplava la possibilità che una figura musicale, come, ad esempio, la semibreve potesse essere uguale a due o a tre minime, Tactus, che indicava l’unità di misura che regolava i rapporti tra le diverse figure musicali, color, le proporzioni, etc. Tutti questi termini sono sconosciuti alla moderna teoria musicale. Inoltre bisogna tener presente che la polifonia rinascimentale rifugge da ogni uniformità di esecuzione: il suo ritmo è legato all’accento e al metro della parola più che al valore delle note o alla moderna e regolare successione di tempi forti e deboli. Pertanto l’uso nella nostra notazione delle stanghette di misura, non presenti negli originali, se da un lato è di aiuto per l’esecutore, dall’altro rischia di mutare la composizione metrico-verbale, facendone perdere quelle movenze espressive e agogiche insite nella musica stessa. Le Canzoni Napolitane di Giulio Bonagiunta non hanno presentato problemi relativi alla corretta interpretazione dei segni di Tactus. Con questo termine latino, che significa “percuotere”, i teorici rinascimentali erano soliti indicare sia i rapporti di durata tra le figure musicali, sia il gesto del direttore che chironomicamente lo indicava con l’abbassarsi e l’alzarsi della mano. Questi movimenti, apparentemente simili all’odierno battere e levare, venivano indicati con i termini latini di depositio ed elevatio. Bonagiunta ha utilizzato il cosiddetto Tactus minor alla semibreve, indicato con il semicircolo (quello che noi oggi conosciamo come “C” e che, appunto, nella notazione odierna viene accostato all’indicazione 4/4, ma che, naturalmente, non ha nulla a che vedere con quello che era l’antico segno di tactus rinascimentale).

Questo semicircolo stava a significare come ad ogni abbassamento e innalzamento della mano (depositio/elevatio di cui dicevamo sopra) corrispondessero due minime. In alcune canzoni sono presenti brevissime sezioni in color, ossia l’impiego di note bianche colorate di nero per indicare un’alterazione del valore delle note rispetto alla norma: 3 note annerite equivalevano a 2 normali dello stesso tipo. Era, inoltre, una abitudine dei compositori non indicare nelle parti i suoni che dovevano essere alterati (diesis, bemolli). Erano poi gli esecutori stessi ad inserire le alterazioni omesse. Nella trascrizione delle Napolitane bonagiuntiane ho inserito tutte quelle alterazioni non presenti, basandomi sui principi enunciati dai teorici riguardo alla Musica Ficta, ossia quel sistema dei suoni cromatici estranei alla scala diatonica derivata dall’esacordo guidoniano. Infatti all’epoca di Guido d’Arezzo (attorno all’undicesimo sec.), i semitoni impiegati nella gamma dei suoni facenti parte del sistema musicale erano soltanto tre: MI-FA, SI-DO, LA-SI.

Con l’introduzione della solmisazione da parte di Guido il semitono veniva denominato usando sempre le medesime sillabe MI-FA in maniera da ridurre al minimo le difficoltà per una loro corretta intonazione. Vi era quindi una serie di regole che disciplinava l’applicazione delle alterazioni. Così, ad esempio, se, per la pratica dell’esacordo, una nota eccedeva, ossia saliva sopra le sei dell’esacordo stesso, questa nota veniva chiamata fa in virtù della regola secondo la quale “nota super la semper est canendum fa”. Il che significa che la nota sopra il la veniva bemollizzata.

Una volta risolte tutte queste questioni bisognava trovare la soluzione migliore, brano per brano, per rendere nella notazione moderna le informazioni contenute negli originali in maniera da perderne il minor numero possibile e allo stesso tempo non provocare confusione e dubbi agli esecutori che si accingeranno ad eseguire Bonagiunta. In questo caso ho seguito i preziosissimi consigli della Prof.ssa Cardamone che mi ha assistito a distanza nella stesura delle trascrizioni.

Un altro aspetto sul quale ritengo sia necessario soffermarci è quello relativo alla assoluta assenza nelle edizioni di Bonagiunta, così come nei manoscritti e nelle stampe dell’epoca, di indicazioni che ci possano guidare nella scelta dell’andamento dinamico, agogico, dei coloriti musicali e del fraseggio. Non vi è scritto assolutamente nulla. Termini come piano, forte, crescendo, accelerando, diminuendo non sono indicati. Queste cose erano lasciate all’esecutore perché, come accennavo all’inizio della relazione,  era il testo che in qualche maniera prevaleva sulla musica e permetteva la scelta più appropriata per l’esecuzione musicale.

Provvidenziali si dimostrano, al riguardo, gli scritti dei teorici che, a più riprese, si soffermano sull’argomento, fornendo insperate quanto preziose notizie. L’attendibilità delle loro affermazioni è confortata dalla sostanziale concordanza fra le varie fonti (fatto, questo, piuttosto raro nella trattatistica rinascimentale) e dall’esigenza di ripetere più volte gli stessi concetti, pur di apparire chiari.

Occorre penetrare a fondo nello spirito della composizione che si canta. La voce deve esprimere le parole musicate con quelle passioni ora allegre, ora meste, soavi o crudeli, che il testo poetico intende esprimere. La musica è strettamente legata alla parola, al significato del testo poetico.

Voglio a questo punto ringraziare il coro “Bonagiunta” che con impegno, degno di lode, si è gettato con anima e corpo in questo progetto e che, questa sera, non sta solo presentando il volume, ma si sta anche impegnando per far rivivere la musica di questo compositore ginesino, restituendogli tutti quegli aspetti che, da quanto sopra esposto, non erano contenuti negli originali, ma che si evincono dal testo poetico stesso e da altre informazioni coeve presenti nella trattatistica.
 


San Ginesio, 1 giugno 2003