Intervento Ongaro

Prof. Giulio Maria Ongaro
di Music History and Literature
Presso la Flora L. Thornton School of Music
Universuty of Sauthern California
di Los Angeles - Stati Uniti

Giulio Bonagiunta e Venezia
 
Vorrei prima di tutto ringraziare il Sindaco di San Ginesio e le autorità locali per il sostegno dato a questa iniziativa. Ringrazio anche il Prof. Belloni, presidente della Corale Bonagiunta, ed il Prof. Baldassarri, direttore della Corale, per avermi invitato a partecipare a questa cerimonia.

In  circa  un anno di  corrispondenza fatta di messaggi di posta elettronica ho avuto modo di apprezzare le qualità e l’entusiasmo del Prof. Baldassarri, che si è prodigato per la riuscita di questo progetto.

Un rigraziamento particolare va al Prof. Belloni ed al Prof. Baldassarri per la loro ospitalità veramente squisita. Mi fa grandissimo piacere vedere questa sera tanta partecipazione di pubblico: questo è ovviamente un tributo alla Corale Bonagiunta, che si distingue per l’impegno, la serietà, e l’entusiasmo dei suoi membri e della sua direzione. Invito le autorità presenti a continuare a sostenere le loro iniziative, perché organizzazioni di questo tipo sono dei veri tesori della cultura locale e nazionale.

Ma veniamo a Giulio Bonagiunta. Molti anni fa mi iscrissi ad un seminario sulla musica italiana del Cinquecento, tenuto all’università americana dove stavo completando il mio dottorato di ricerca, e (come si usa lì) dovetti quindi scrivere una tesina un po’ approfondita su un argomento di mia scelta. Mi interessava molto la questione della stampa musicale, in particolar modo delle edizioni pubblicate dai famosi editori veneziani dell’epoca, e quindi cominciai a consultare vari lavori e scritti su questo soggetto, oltre ai microfilm di diverse edizioni musicali. L’argomento scelto per la mia tesina fu così la produzione di antologie musicali madrigalistiche subito dopo la metà del secolo, e cominciai ad imbattermi sempre più spesso nel nome di un certo Giulio Bonagiunta, curatore di diverse importanti raccolte di quel periodo. Il dizionario con più dati su questo personaggio era allora il Dizionario biografico degli italiani in cui, però, si trovavano pochissimi, vaghi ragguagli. Si presentava anche come non risolta la questione della patria d’origine di questo musicista. “Si presume—cito dal Dizionario biografico—che debba trattarsi di San Genesi presso Pavia, ma la presenza a Loreto del Bonagiunta e soprattutto la familiarità che ebbe con nobili e letterati marchigiani, ai quali dedicò anche alcune sue raccolte, ha fatto anche congetturare—forse meno verosimilmente—che fosse originario di San Ginesio in provincia di Macerata”.

Pur senza avere in quel periodo la possibilità di consultare fonti d’archivio, un’attenta lettura di tutte le lettere dedicatorie scritte da Bonagiunta mi convinse allora che non ci potessero essere dubbi di alcuna sorte sul fatto che il nostro musicista fosse nato nella cittadina in cui ci troviamo questa sera. Per un ricercatore in erba vi sono poche soddisfazioni come quella di poter risolvere definitivamente una questione o un problema fin allora irrisolto, e potete facilmente immaginare la mia gioia nel poter scrivere un tesina che invece di rimasticare cose già note presentò al mio insegnante, noto studioso del Cinquecento italiano, un contributo inedito. E’ da qui che comincia la mia lunga “storia d’amore” con Giulio Bonagiunta. In seguito, durante le mie ricerche negli archivi veneziani, ho continuato a raccogliere documenti e testimonianze che sono serviti, almeno per me, a rendere Bonagiunta una figura più umana, più a tutto tondo, per così dire, ed anche a farmi apprezzare sempre più questo personaggio di un dinamismo e di un’intelligenza veramente singolari.

Giulio Bonagiunta, dopo un breve periodo a Loreto, arriva a Venezia nel 1562, e viene assunto il 14 ottobre nella cappella marciana: “Non volendo manchar li Clarissimi Signori Procuratori de compir de poner buon sesto ad essa cappella ... hanno posto in essa cappella per contralto con salario de ducati 80 all’anno messer Iulio Bonagiunta, et similmente per contralto fra Hercule da i fra minori, con salario de ducati trenta all’anno”.  Si noti la differenza notevole tra il salario del Bonagiunta e quello pagato a Ercole dei fra minori, dovuta solo in parte al fatto che spesso i monaci ed altri membri del clero venivano pagati un po’ meno dei laici, e quindi un segno della bontà della voce di Bonagiunta.

L’arrivo di Bonagiunta a Venezia coincide con un periodo non felicissimo per la cappella marciana. Il maestro di cappella, il fiammingo Adriano Willaert, universalmente apprezzato e riverito, già malato da tempo, viene a mancare agli inzi di dicembre dello stesso anno in cui Bonagiunta viene assunto. Non possiamo nemmeno essere certi che Bonagiunta abbia potuto effettivamente cantare sotto la direzione del maestro fiammingo,  invece che sotto quella del maestro supplente, Francesco Violante.  Il successore di Willaert fu Cipriano de Rore, altro fiammingo e allievo del suo predecessore, il quale però si trovò poco a suo agio a San Marco soprattutto per la sua incapacità nel mantenere la disciplina nella cappella, tanto da abbandonare l’incarico dopo circa due anni—caso più unico che raro se pensiamo che fra il 1480 e il tardo Seicento egli fu l’unico maestro di cappella a non rimanere in carica fino alla morte. Dopo la parentesi di Rore, i procuratori diedero l’incarico a Giuseppe Zarlino, che si stava affermando non solo come autore di dottissimi libri sulla teoria della musica, ma anche come esperto in altri campi. Egli pubblicò infatti anche un libro sulla pazienza, uno sull’origine dell’ordine dei frati cappuccini, e altri libri di carattere teologico. Bonagiunta si trovò quindi  a cantare sotto tre maestri diversi, e trasse qualche beneficio dalla mancanza di disciplina riscontrata sotto Rore, che forse gli consentì di dedicare un po’ di tempo ai suoi progetti editoriali.

Documenti sparsi del periodo veneziano di Bonagiunta ci fanno intravvedere una personalità alquanto irrequieta. Nei pochi anni a Venezia, per esempio, Bonagiunta cambiò casa diverse volte, e fu persino preso di mira dai Cinque alla Pace, una magistratura con poteri di polizia, per una rissa con un suo collega, il basso francese Luca Galterio, sul campo della chiesa dei SS Giovanni e Paolo. Inoltre, durante i sei anni trascorsi a Venezia Bonagiunta viaggiò spesso al di fuori del territorio della Serenissima, a volte con incarichi ufficiali per la cappella, altre volte per ragioni personali. Bonagiunta fu assente da San Marco per periodi abbastanza lunghi alla fine del 1563 e all’inizio del 1565, e successivamente nel 1567 e 1568, arrivando fino in Baviera. Uno dei due ultimi viaggi sembra essere stato causato dalle trattative tra Bonagiunta e l’agente della corte dell’Arciduca Carlo d’Austria, che lo aveva convinto a recarsi in Austria insieme con un altro cantore di San Marco con un’offerta di lavoro. Trattative di questo tipo, più o meno segrete, erano abbastanza comuni nel caso dei cantori più bravi, ma la cosa strana fu che Bonagiunta, già in viaggio verso l’Austria, cambiò idea e ritornò a Venezia riuscendo a reinserirsi nella cappella di San Marco. Nel 1568 Bonagiunta lasciò definitivamente Venezia e si recò alla corte del duca Ottavio Farnese a Parma dove rimase fino alla morte, avvenuta a Parma il 16 febbraio 1571, come ha scoperto recentemente il musicologo giapponese Seishiro Niwa. E’ molto probabile che Bonagiunta si servisse di questi viaggi anche per raccogliere partiture musicali da pubblicare nelle sue antologie, specialmente per pezzi di compositori quali il Lasso, che serviva allora la  corte di Baviera, e da cui Bonagiunta dice di aver ricevuto di persona brani musicali perché venissero pubblicati.

Veniamo adesso alla pubblicazioni curate dal Bonagiunta, che sono senza dubbio il suo contributo più importante alla musica dell’epoca. In un periodo di tempo relativamente breve (tra il 1565 ed il 1568) Bonagiunta si trovò impegnato in un vero e proprio tour de force senza pari nella storia dell’editoria musicale del tempo. La sua attenzione fu rivolta soprattutto alla musica profana, con diverse raccolte sia di madrigali che di canzoni napolitane, molto in voga in quel periodo. Lo spirito imprenditoriale di Bonagiunta si nota in particolar modo nelle sue antologie di madrigali. Bonagiunta fu uno tra i primi a capire che il pubblico aveva bisogno di stimoli sempre nuovi per acquistare i volumi musicali che le stamperie veneziane sfornavano in numero crescente, ed i suoi volumi mostrano una spiccata attenzione a quello che oggi chiameremmo il “marketing,” sia con frontespizi e titoli fantasiosi, sia offrendo opere di autori che andavano per la maggiore. Un esempio della sua strategia editoriale è dato dal titolo di una delle antologie, Le vive fiamme de’ vaghi e dilettevoli madrigali dell’eccellente musico Cipriano Rore, che contrasta con titoli più scialbi molto usati al tempo (per esempio Madrigali di diversi, Primo libro de’ madrigali a quattro voci, ecc.).

Per di più, Bonagiunta dice nella prefazione al volume che le composizioni per Le vive fiamme gli erano state affidate dal Rore perché non circolassero troppo liberamente, e afferma di essersi deciso a pubblicarle solo dopo la morte del compositore nel 1565. Sia che le composizioni gli fossero state date in dono, sia (come mi pare più probabile) che le avesse comprate dal Rore, questa antologia ci fa vedere un Bonagiunta che agisce come un vero e proprio uomo d’affari, sfruttando abilmente i legami con Rore, cogliendo l’occasione offerta dalla scomparsa del maestro, stringendo rapporti strettissimi con l’editore Scotto, forse il più importante tra gli editori di musica a Venezia, mantenendo rapporti di lavoro con musicisti attivi in una vasta area, che va da Roma a Monaco di Baviera, senza perder d’occhio le sue radici marchigiane. Quello che colpisce di Bonagiunta è la sua capacità di inserirsi rapidamente nella società veneziana del Cinquecento, in un campo in cui c’era una notevole concorrenza, e di diventarne in brevissimo tempo un esponente di primo piano. Da notare è anche che, sebbene evidentemente le occasioni non mancassero, molti altri musicisti della cappella di San Marco passarono parecchi anni a Venezia senza avere l’immaginazione e lo spirito imprenditoriale necessari per sfruttarle, oppure si affacciarono timidamente sulla scena senza lasciare un contributo paragonabile a quello di Giulio Bonagiunta.

La più ambiziosa delle raccolte curate da Bonagiunta fu senza dubbio la Corona della morte dell’illustre signore, il sig. commendator Annibal Caro, che vede la luce proprio alla fine del suo soggiorno veneziano. La morte dell’umanista marchigiano Annibal Caro, avvenuta a Roma nel 1566, ebbe gran risonanza nell’Italia del tempo. Caro, rimasto famoso fino ai nostri tempi per le sue traduzioni, era personaggio di primo piano ed aveva preso parte a molti dei dibattiti letterari del secolo. Il volume a lui dedicato rappresenta un esempio fino ad allora rarissimo, sia per il notevole lavoro necessario per metterlo in luce, sia per l’occasione che commemora, and anche per la sua veste editoriale, insolitamente curata. Lo stesso titolo della raccolta fa riferimento ad uno dei lavori più noti del Caro, la “Corona del gufo”, una serie di sonetti di forte polemica contro l’umanista Castelvetro. Prima della Corona della morte si conosce in tutt’Europa un solo esempio di antologia musicale che commemori la morte di un personaggio famoso: si tratta di un’antologia pubblicata in Germania alla morte di Martin Lutero, un volume che sicuramente non poteva circolare liberamente in Italia. L’antologia di Bonagiunta è quindi la prima del suo genere nel nostro paese. Fu un progetto di non facile realizzazione, dato che Bonagiunta probabilmente non solo commissionò i sonetti della raccolta, ma una volta completata questa fase scelse anche i compositori che li misero in musica e coordinò quindi l’attività di parecchie persone. Per questo progetto Bonagiunta si appoggiò a diversi musicisti e poeti, scegliendo i poeti nell’ambito veneziano o veneto, mentre i musicisti si possono dividere in tre gruppi: i marchigiani, quelli attivi a Venezia o nel Veneto, ed i pochi, come il Palestrina, la cui presenza può essere dovuta ai legami stabiliti col Caro negli ambienti romani.

Senza entrare in troppi particolari possiamo dire che Bonagiunta si assicurò la collaborazione di poeti quali Domenico Venier, Girolamo Fenaruolo, e Giovan Battista Zuccarino, tra i migliori prodotti dagli ambienti letterari veneziani del tempo, e di musicisti di tutto rilievo, quali Giuseppe Zarlino, Andrea Gabrieli, Claudio Merulo, Baldassare Donati, e Palestrina. E’ proprio la Corona della morte a darci un’idea di quanto Bonagiunta fosse riuscito non solo ad amalgamarsi nella realtà veneziana, ed a mantenere una rete di contatti con musicisti e letterati. Nella lettera dedicatoria di questa raccolta, Bonagiunta dice di sentire l’obbligo di “di ampliare e publicare, quanto io posso, le lodi delli miei compatrioti”: in questo la raccolta ha sicuramente raggiunto il suo scopo, erigendosi a monumento alla memoria di Annibal Caro. Possiamo dire però che allo stesso tempo essa rimane anche come monumento alla memoria tra i più interessanti dell’epoca, Giulio Bonagiunta da San Ginesio, nelle Marche.
 


San Ginesio, 1 giugno 2003